Continuo a scrivere per te,
lettore e lettrice, intorno a persone le cui vite trovo molto interessanti e
poco conosciute.
Anche questa volta, come con
Massimo, ho intervistato telefonicamente, a causa delle norme di distanziamento
sociale.
Conobbi Anna Maria Poggio nei
primi anni ’90 presso la Scuola di Grafologia di Torino della Prof.ssa Carena
Acino. Lei lavorava presso la Ferrero, mentre io, licenziatami dal mio lavoro a
tempo indeterminato, studiavo per laurearmi in Lettere e frequentavo il corso
per grafologi, dopo aver costatato quanto possa variare la propria scrittura in
situazioni di forte stress e desiderosa di acquisire la conoscenza di un test
che mi è servito poi negli anni da docente.
Ricordo il suo sguardo: gli
occhi brillavano, emettevano gioia di vivere e luce. Ricordo i capelli
lunghissimi di colore biondo oro e il sorriso. Un bellissimo sorriso, che si
apriva mentre gli occhi scintillavano. Sedeva al banco davanti a me, durante le
lezioni e quando si girava, era proprio il suo sorriso a magnetizzare la mia
attenzione.
Mi sembrava molto più giovane
di me, io con la famiglia e le sue necessità che dettavano la mia agenda e lei,
libera, che si organizzava libera come una ragazzina.
Poco tempo dopo frequentammo
insieme un ulteriore corso dal titolo estremamente potente: “Guarire con la
mente” tenuto da un medico, che fu per me un Maestro. Non il primo, non
l’ultimo, ma fu molto importante per me. Insieme con altre corsiste, diventate
amiche, per anni ci esercitammo insieme, attraverso esercizi di respirazione e
di meditazione, con l’intenzione di migliorare noi stesse.
Poi per molti anni tra noi due
qualche sporadico scambio di auguri, qualche mail.
Avevo scelto lei come madrina
di mio figlio Simone, ma proprio in quel periodo lei aveva cambiato la sua vita
in modo radicale e non poteva assicurarmi di essere presente e così, a malincuore, rinunciai a
lei.
Quello che leggerai è la sintesi di due ore trascorse al telefono,
dopo anni di silenzio, per ascoltare le motivazioni che l’hanno portata a
prendere delle decisioni.
Nel nostro caso l’intervista è
iniziata in un modo singolare: io raccontavo e lei ascoltava.
Strano vero, caro lettore e
cara lettrice, ma appena le ho telefonato, lei ha notato la mia voce rauca e si
è preoccupata di segnalarmelo e io, amante, come puoi dedurre, della
conversazione, ho diffusamente spiegato il perché della mia raucedine
mattutina. Poi mi sono resa conto che le parti si erano capovolte e fattoglielo notare, abbiamo
iniziato l’intervista proprio dalla sua abitudine di porsi sempre in ascolto
dell’altro.
Anna Maria per dodici anni, dai vent’anni in
poi, è stata volontaria presso Telefono Amico: il suo impegno era quotidiano,
non nell’ascolto, definito in turni precisi, ma nell’aiuto per tutte le altre
attività e lavori che ruotano intorno
all’ascolto. E’ stata un’esperienza formativa, direi fondante nella sua vita,
che le ha permesso di conoscere due persone che
reputa i suoi maestri, Lino e Nando e il gruppo di Mondo X, che per lei
è stato gruppo di riflessione, crescita interiore e amicizia.
La prima maestra della sua
vita è stata però sua mamma, Andreina.
Annamaria la ritrae come una
donna libera, generosa che l’ha sempre
sostenuta in ogni scelta della sua vita e come vedrete di scelte Anna Maria ne
ha compiute alcune. Sa che “la sua
robustezza psicologica” (termine molto interessante) la deve esclusivamente
a mamma Andreina, agli anni della sua infanzia, trascorsi accanto a lei, che le
ha trasmesso fiducia e tanto, tanto amore.
E’ consapevole della sua
impronta in ogni azione positiva che
intraprende, nella fiducia che ha nei confronti del mondo, della sua capacità
di abbandonarsi fino in fondo senza calcolare rischi e pericoli. Nei primi
giorni della pandemia ha compreso che, anche nei confronti della morte, ha
imparato a non averne paura.
Mentre scrivo ascolto il
cigolio dell’altalena sita nel giardinetto sotto casa, transennato fino ad
oggi, sempre per l’applicazione delle norme di distanziamento sociale ed oggi
riaperto ai piccoli e ai grandi. Un rumore che non ascoltavo dai primi di
marzo.
Nella vita di Anna Maria ci
sono tre viaggi che rappresentano tre tappe della sua vita.
Il primo viaggio lo intraprese
a vent’anni: diplomata da poco, lavorava presso un notaio, quando decise di
licenziarsi per viaggiare. La mamma le propose di recarsi dallo zio in
Venezuela. Trascorse alcuni mesi dagli
zii: durante il soggiorno visitò diverse zone del Venezuela, che le piacque
moltissimo con i suoi colori e i suoi abitanti, studiò presso le scuole locali
per apprendere lo spagnolo, conobbe gli usi e i costumi degli indios grazie a
Zia Barbara, che la condusse un giorno nella foresta ad incontrare una bruja.
Per una ragazza, quella fu un’esperienza indimenticabile.
Rientrata dal viaggio in
Venezuela riprese a lavorare. La sua vita era equamente divisa tra il lavoro,
necessario per vivere e la totale gratuità spesa nel volontariato presso
Telefono Amico gestito dall’associazione Mondo X.
Dopo qualche anno di vita
torinese, sentì nuovamente il bisogno di viaggiare, l’urgenza di un’esperienza
radicale: ancora una volta si licenziò e
decise di recarsi in India, a Calcutta, presso Madre Teresa. Lei sapeva che le
suore di Madre Teresa accoglievano chiunque volesse aiutare e quindi partì, senza
avere preso nessun contatto, senza aver prenotato nessun luogo dove
soggiornare, senza conoscere nessuno.
Era il 1987.
Primo scalo Nuova Delhi, dove
si fermò, poi si recò a Bombay alla
ricerca di Padre Aurelio Maschio. Non lo
trovò, si ammalò di una broncopolmonite che la stremò per una settimana e
successivamente trovò accoglienza presso le Suore italiane della Carità e
collaborò con loro nel lebbrosario.
Nonostante si trovasse
benissimo presso le Suore di Bombay, decise di partire per Calcutta, per
realizzare il suo sogno di recarsi da Madre Teresa.
Svolse il volontariato a
Kalighat, la città dei moribondi, e si occupò anche dei tubercolotici.
L’India nella vita di Anna
Maria è il luogo dove lei ha compreso ciò che è veramente essenziale nella
vita, dove ha perfezionato la sua formazione spirituale.
Rientrata a Torino, tornata a
lavorare, giorno dopo giorno maturava in lei il desiderio di un impegno che non
avesse scadenze, non legato alla necessità di rientrare comunque in Italia per
lavorare, come tutti i volontari nel mondo sono costretti a fare, un impegno che le permettesse di vivere
pienamente e liberamente la realtà che avrebbe incontrato.
Mentre prendeva forma questa
idea, lavorò presso la Ferrero come segretaria di direzione, frequentò i corsi
presso la scuola della prof.ssa Carena Acino e finalmente maturò la decisione,
della quale fui testimone anche io.
Era il 1995.
Si licenziò, regalò tutto ciò
che aveva, dalle posate alle lenzuola e partì per il Brasile con un progetto
nella sua mente e nel suo cuore, condiviso con i suoi amici di Torino.
Grazie alle Suore della
Neve di Savona ebbe dove alloggiare i primi tempi a Belo Oriente e a Pavao.
Successivamente scelse di vivere a Teofilo Otoni, di vivere nel quartiere di
Vila Esperanca, là dove era iniziato da tempo un lavoro con la comunità locale
ad opera di Don Giovanni Lisa.
In questa realtà Anna
Maria si mise a disposizione per imparare: lavorò come operaia del laboratorio
di panetteria e visse con le persone del luogo, come loro, imparò la lingua e
osservò le necessità.
Comprese l’urgenza di
allontanare i ragazzi dalla strada e, sfidando le difficoltà della burocrazia
locale, in pieno accordo con la comunità locale, anzi da loro delegata, riuscì
prima a realizzare una scuola, detta la” scuolina di Anna Maria” dove, nella sua
casa, accoglieva i ragazzi dai 7 ai 10 anni,
poi a ottenere il terreno per
costruire Casa Nazaré, un luogo dove i bambini della favela potessero mangiare
e giocare, istruirsi e incontrarsi. Una casa che “diventa famiglia di cui ogni
bambino ha diritto”.
Personalmente ricordo con
molta emozione le lettere che ci inviava, nella quali ci raccontava la sua
esperienza e ricordo le nostre raccolte per sostenerla, l’invio dei giochi,
anche quelli dei miei figli che ne avevano più del necessario, per l’avvio della
sua scuola.
Avevano bisogno di tutto: dai
quaderni ai giochi.
Trascorsi cinque anni, nel 2000 Anna Maria
tornò a Torino e lavorò per un breve periodo presso il CISV fin quando operò
un’ulteriore scelta, quella di scindere il volontariato dal lavoro.
Fu riassunta alla Ferrero.
Il suo impegno sociale non è
mai terminato, segue ancora il progetto di Casa Nazaré e altri che via via sono
nati ad opera dell’Associazione Uai Brasil, oggi Relamondo. E’ tornata molte
volte a Teofilo Otoni per incontrare
quei giovani che oggi sono uomini e donne.
Mi affascina personalmente
questa sua capacità di vivere realtà diametralmente opposte, di accettare il
mondo nella sua varietà, consapevole che non esista vera separazione, come le
filosofie orientali insegnano.
Se desiderate informazioni relative
ai progetti dell’Associazione Relamondo oppure dettagli sul progetto ci casa
Nazaré, potete trovarle sul sito dell’Associazione Relamondo, di cui Anna Maria
è Presidente onoraria.
Purtroppo la nostra telefonata
svolge al termine: gli impegni della sua vita attuale, lavorativa e di persona
costantemente in aiuto di chi ha bisogno, dettano l’agenda anche in questi
tempi che appaiono lenti solo in apparenza, ma restano sempre intensi per chi
li vive come Anna Maria al servizio degli altri.
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