Ho letto due anni fa la storia
di Elena Marinucci scritta da mia sorella Anna Maria nel libro “Una rivoluzione
positiva. Conversazioni con Elena Marinucci”.
Oggi, mentre riordinavo i
libri, l’ho ritrovato e mi sono ricordata del mio interesse quando lo lessi.
Non avevo mai sentito nominare questa donna, che è stata senatrice della
Repubblica e deputata europea, ma soprattutto ha difeso strenuamente i diritti
delle donne negli anni ‘70 e ‘80, gli anni che hanno cambiato radicalmente la
condizione della donna in Italia.
Capii allora che la storia
della senatrice Marinucci e delle donne che hanno dato un enorme contribuito
alla storia dei diritti della donna italiana era da divulgare.
Nel libro infatti si disegna
la storia di un periodo politico e di un mondo di donne, tutte molto impegnate
e attive nella difesa dei diritti delle donne.
Donne per lo più socialiste,
oltre che comuniste: ancora nel 2017, anno di pubblicazione del libro, il socialismo
era un tabù, dopo la vicenda Craxi. Trovai importante da parte di una storica
mettere in luce attraverso la sua ricerca il valore delle riforme e delle
istituzioni volute in quegli anni.
Oggi a venti anni dalla morte,
molti sono andati sulla sua tomba mentre un film ricorda gli ultimi mesi della
sua vita, ma la sua storia è ancora da scrivere.
Dopo molte presentazioni del
libro in Italia, anche a Torino, mi accingo a recensirlo, per fare conoscere
anche a te lettore, lettrice quegli anni che io ho vissuto da adolescente e
giovane donna. Furono anni pieni di speranza, quella di poter cambiare il corso
secolare delle consuetudini, delle tradizioni e delle leggi che incarnavano
quel modo di stare al mondo.
Raccontare la storia delle
donne significa evitare che scompaiano dalla storia.
Elena Marinucci vive
all’Aquila e negli anni Quaranta può scegliere la sua strada: frequenta prima
il Liceo Classico e poi Giurisprudenza a Roma. Sposa un avvocato socialista che
avrà una brillante carriera come deputato e infine come Consigliere di Stato.
Elena, madre di due figli e
procuratore legale, sostituisce il marito in studio fin quando nel 1965 supera
il concorso per l’insegnamento e diventerà docente di Diritto, economia e
scienze delle finanze presso l’ITC dell’Aquila.
Si iscrive all’Unione delle Donne Giuriste e
inizia a partecipare ai dibattiti pubblici di quegli anni sulla necessità di
riforme, in particolare la riforma del diritto di famiglia.
Torniamo a quegli anni e
analizziamo lo stato delle leggi.
·
I figli nati al di fuori del matrimonio non
erano riconoscibili giuridicamente
·
Le ragazze rapite e abusate venivano costrette
dalla famiglia al matrimonio riparatore
·
La violenza sulle donne era chiamata delitto
d’onore
·
Una donna sposata e sorpresa con un altro uomo
era condannata per adulterio e imprigionata, mentre per l’uomo la stessa
sanzione scattava solo se “pubblico concubino”
·
Le madri non avevano podestà sui figli
·
Le mogli erano sottoposte alla potestà maritale
fino allo jus corrigendi
·
Le donne laureate in giurisprudenza, fino al
1963, non potevano partecipare ai concorsi per la carriera in magistratura, come
si evince da questo stralcio:
1. Evidentemente
il Ministro Moro, o non conosce la donna, o si dimentica della tremenda gravità
e difficoltà della funzione del giudicare!
Funzione, che
richiede intelligenza, serietà, serenità, equilibrio; che va intesa come
“missione”, non come “professione”; e vuole fermezza di carattere, alta
coscienza, capace di resistere ad ogni influenza e pressione, da qualunque
parte essa venga, dall’alto o dal basso; approfondito esame dei fatti, senso
del diritto, conoscenza della legge e della ragione di essa, cioè del rapporto
– nel campo penale – fra il diritto e la sicurezza sociale; ed, ancora, animo
aperto ai sentimenti di umanità e di umana comprensione, ed equa valutazione
delle circostanze e delle ragioni che hanno spinto al delitto, e della psiche
dell’autore di esso; coscienza della gravità del giudizio, e della gravissima
responsabilita del “giudicare”.
Elementi tutti,
che mancano – in generale – nella donna, che – in generale – “absit injuria
verbis” – è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva,
testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica,
dominata dal “pietismo”, che non è la “pietà”; e quindi inadatta a valutare
obbiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti
e i delinquenti.[1]
In generale le donne non
potevano accedere a determinati concorsi, come successe a Rosa Oliva che
laureatasi in Scienze politiche avrebbe voluto accedere alla carriera
prefettizia, ma il concorso bandito dal
Ministero degli Interni prevedeva come requisito l’appartenenza al sesso
maschile. Rosa Oliva fece ricorso in base all’articolo 3 della Costituzione[2]
e lo vinse con sentenza del 1960 cui seguì la legge del 1963 che consentì alle
donne l’accesso a tutti i concorsi, ad esclusione della carriera militare, per
la quale bisogna aspettare il 1999.
Era necessario questo
antefatto, per comprendere meglio le enormi difficoltà che la senatrice
incontrò sia nella società, sia nel partito socialista.
Il primo impegno politico di
Elena fu quello di collaborare per difendere la legge Fortuna-Baslini (legge
sul divorzio) dal referendum abrogativo voluto dalla DC.
Subito dopo si affrontò lo
scottante tema dell’aborto: la legge 194 fu approvata nel maggio del 1978 e nel
1981 gli italiani furono chiamati al referendum abrogativo. Anche in questa
occasione Marinucci spende tutte le energie possibili per parlare con tutti, in
ogni angolo, balcone, scala, piccolo centro e anche quella legge fu approvata
dagli italiani.
Fino a quel momento Marinucci
aveva collaborato con moltissime associazioni di donne, aveva fondato la Lega
delle donne per il socialismo, con Boniver ed era la Responsabile della Sezione
Femminile Nazionale del P.S.I.
Il suo impegno da questo
momento in poi è quello di dare alle donne il diritto di partecipare a pieno
titolo alla vita di un partito e non essere relegate nella Sezione femminile.
Nel 1983 Craxi candida
Marinucci al Senato, che ancora una volta vince la scommessa. Senatrice fino al
1994, a lei dobbiamo la legge per la riduzione dei tempi di attesa per il
divorzio, e la tenacia e la competenza con cui propose e difese invano la
necessità della legge sulla violenza contro le donne che sarà approvata
soltanto nel 1996, quando Elena è già europarlamentare.
Il nome di Elena Marinucci è
legato soprattutto alla storia della Commissione nazionale per la realizzazione
della parità tra uomo e donna, che volle fortemente e di cui fu la prima
presidente. Siamo nel 1984. L’attività di quegli anni fu molto intensa, come si
evince dai capitoli centrali del libro.
Concludo questo excursus, per
segnalare alle giovani lettrici che nessuna conquista, nessun diritto è
definitivo, ma che è necessario essere sempre vigili affinché ciò che le nostre
madri conquistarono con enormi fatiche non venga vanificato da ritorni di leggi
oscurantiste.
Ultima considerazione: la
rivoluzione delle donne degli anni Sessanta e Settanta è stata pacifica e
vincente.
Evviva le donne.
[1]
Ranelletti, La donna giudice, 1957
[2]
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
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