Oggi in Italia si festeggia il giorno della liberazione dal nazifascismo.
Oggi, dopo 73 anni, sono pochissimi i sopravvissuti di quel periodo storico così nefasto per tutta l'Europa e non solo.
Decido di postare sul blog uno degli incontri con un Uomo che portava dentro di sè gli anni trascorsi a Mauthausen: Italo Tibaldi.
A te lettore, lettrice, dedico ciò che scrissi allora, nel 2010 e poi nel 2011, quando seppi della sua morte.
Avevo promesso ad Italo che il testimone saarebbe passato alla mia generazione, nata negli anni del boom economico, della pace, anzi della guerra fredda e così onoro quella promessa, ricordando uomini che hanno prima subito l'offesa della prigionia, del lavoro forzato, della fame, del freddo, della totale assenza di libertà, ma che di questa enorme sofferenza hanno saputo fare una forza per impedire che gli uomini dimentichino e si ritrovino nuovamente nelle mani di coloro che sanno come sfruttare l'umanità.
Non è facile oggi per noi cittadini del XXI secolo identificare le forme di schiavitù, ma è facile capire che ogni forma di violenza e aggressività è contraria al benessere di ogni creatura vivente.
Grazie Italo.
Oggi, dopo 73 anni, sono pochissimi i sopravvissuti di quel periodo storico così nefasto per tutta l'Europa e non solo.
Decido di postare sul blog uno degli incontri con un Uomo che portava dentro di sè gli anni trascorsi a Mauthausen: Italo Tibaldi.
A te lettore, lettrice, dedico ciò che scrissi allora, nel 2010 e poi nel 2011, quando seppi della sua morte.
Avevo promesso ad Italo che il testimone saarebbe passato alla mia generazione, nata negli anni del boom economico, della pace, anzi della guerra fredda e così onoro quella promessa, ricordando uomini che hanno prima subito l'offesa della prigionia, del lavoro forzato, della fame, del freddo, della totale assenza di libertà, ma che di questa enorme sofferenza hanno saputo fare una forza per impedire che gli uomini dimentichino e si ritrovino nuovamente nelle mani di coloro che sanno come sfruttare l'umanità.
Non è facile oggi per noi cittadini del XXI secolo identificare le forme di schiavitù, ma è facile capire che ogni forma di violenza e aggressività è contraria al benessere di ogni creatura vivente.
Grazie Italo.
24 febbraio 2010 Italo Tibaldi
incontra gli allievi delle terze della scuola media Olivetti di Torino.
Per sapere di più, rispetto a ciò che ho scritto:
https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Tibaldi
Per sapere di più, rispetto a ciò che ho scritto:
https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Tibaldi
Attraverso la strada e vedo una
coppia parlare: lei ha i capelli biondi, è una donna ancora giovane e spigliata
nei modi, decisa, soddisfatta di sé. Lui è un signore anziano e interessante.
Sento che è lui, Tibaldi, la persona che aspetto per testimoniare ai ragazzi la
verità sui campi di concentramento.
Lui è un “liberato”, come afferma o un “salvato”
come diceva Primo Levi.
Mi avvicino e mi presento. E’
proprio lui e, subito, istantaneamente nasce una simpatia tra noi.
Lentamente ci avviamo dentro la
scuola, parlando e preparandoci ad un incontro non facile.
Non facile per lui, che ogni
volta deve ricordare ciò che ha sofferto, riaprire piaghe, vedere scorrere
davanti ai suoi occhi immagini di dolore.
Non facile per me ,che soffro a
raccontare il lato oscuro dell’umanità a chi non lo conosce ancora.
Per fortuna i problemi pratici ci
occupano: il videoregistratore non si collega al proiettore, immagino che
esista qualche cavo, ma non so quale. Come sempre provo la spiacevolissima
sensazione di essere una persona priva delle più banali conoscenze tecniche in
un mondo supertecnico. Mi salva un collega gentile e arrivano i miei ragazzi.
Un po’ bruscamente li disperdo o meglio li distribuisco in modo che non si
distraggano troppo.
Ecco, iniziamo con un filmato,
ricco di documenti dell’epoca, in bianco e
nero, che ci raccontano di scheletri ambulanti, di corpi distrutti dalla
fatica, dalla fame, dal dolore.
Molte sono le parole dette
durante lo scorrere delle immagini sul campo di Mauthausen, molte le
testimonianze dei liberati, ma nei miei occhi, già avvezzi a tali immagini, ci
sono soltanto quei corpi gettati uno sopra l’altro, corpi veri, esseri umani
veramente esistiti, buttati sui carretti.
Il salone è pieno di ragazzi in
silenzio. Non si muovono, non parlano.
Italo inizia a raccontare.
Ringrazia i ragazzi: dice che ha bisogno di loro. Quale grande verità. Il mondo
ha bisogno della gioventù, di persone che abbiamo energie positive, forza,
volontà atta a cambiare il mondo. E poi
parla come Primo Levi: ci sono cose che non si possono raccontare, che è meglio
non raccontare. Preferisce parlarci del fatto che lui credeva, anche in
quell’inferno, che l’umanità non fosse quella che lo teneva imprigionato, non
fosse quella che lo maltrattava e frustava. Crede che l’umanità fosse quella di
oggi, la nostra. Le sue parole risuonano dentro di me, le sento mie, anche se
io non ho vissuto nulla di tragico, sento la tragicità del mondo e sento anche
le forze positive che ci sono e che faticano a farsi vedere, sentire.
I ragazzi intervengono: Matteo,
che non fa mai domande, che giocava con i giochi del telefonino durante la
visione del documentario, proprio Matteo fa una domanda che svela la sua
profondità, quella che occulta dietro il sorriso. Ho un’intuizione: prima di
dargli la parola chiedo ai ragazzi di non alzarsi al suono della campanella,
chiedo di rendersi conto di essere protagonisti di un incontro unico ed
irripetibile, di essere rispettosi. Matteo parla ,ma ancora ci sono voci di
dissenso rispetto al mio appello, voci che offuscano la sua voce. Timidamente,
impacciato, timoroso di fare una domanda sciocca, lui che teme sempre di fare
domande sciocche, riformula la domanda. Chiede come Italo abbia fatto a trovare la forza di sperare,
chiede se ha mai pensato di ribellarsi, insomma come ha fatto a farcela in una
situazione così orribile. E mentre parlava la sua mano toccava il suo petto, voleva sapere cosa sentisse dentro. Italo si è
voltato verso di me, mi ha guardato intensamente e ha provato a rispondere. La
domanda di Matteo è rimasta tra me ed Italo anche per tutto il tempo del
pranzo. Italo vuole ancora rispondere a Matteo: sia lui che io abbiamo
ipotizzato un grande sconforto in lui, la ricerca di aggrapparsi a una
speranza, la speranza di credere che tutto sia possibile, se è stato possibile
uscire dall’inferno dei campi di concentramento.
E capisco: quel ragazzo che durante
la proiezione del documentario giocava, che si è lasciato disarmare senza
opporre alcuna resistenza, aveva ascoltato tutto, ma avrebbe preferito essere
altrove per non sentire altro dolore oltre a quello che sente dentro di sé.
E di nuovo mi chiedo se ho
diritto di mostrare il dolore del mondo ai giovani.
I film e i libri si guardano e si
leggono per scelta. Una proposta scolastica è un obbligo. Che diritto ho di
fare questo?
Le altre domande sbiadiscono di
fronte alla domanda di Matteo.
Italo mi ha riconosciuto un gran lavoro preliminare svolto in classe e gli
occhi mi si sono riempiti di lacrime.
Abbiamo fatto una foto e poi
siamo andati a pranzo.
E lì sono nate delle idee.
Intervistare Italo, scrivere la
sua vita, passeggiando tra le montagne della Valchiusella, dove vive da quando
le Brigate Rosse, ironia della sorte, lo avevano minacciato di morte.
Ha accettato.
L’incontro non è terminato.
E intanto io continuo a chiedermi
perché questa storia dell’umanità risuoni così dolorosa dentro di me.
La risposta non la saprò mai.
Ma quello che so che oggi ho
parlato con un UOMO, che ha dedicato tutta la sua vita a dare un nome a tutti
coloro che sono morti a Mauthausen e ci è riuscito.
IN
RICORDO DI ITALO TIBALDI
“Il
suo nome è inciso nella roccia di quelli che hanno speso la loro vita in una
vita giusta” [1]
L’anno scorso abbiamo
avuto l’onore di accogliere nel nostro Istituto Italo Tibaldi, sopravvissuto
agli orrori del campo di concentramento di Mauthausen.
I nostri giovani
studenti per la prima volta nella loro vita hanno ascoltato la lezione di
Storia direttamente da un testimone, per la prima volta si sono confrontati con
un dolore così profondo da dover essere condiviso e ricordato.
Italo è riuscito a
catturare il cuore e la mente dei nostri alunni, ha saputo trovare le parole
giuste per lasciare in loro sentimenti di forza e di pace, nonostante il crudo racconto della sua storia e le immagini
che via via scorrevano sul telone ed erano tutt’altro che evocatrici di pace.
Italo ha incoraggiato
con il suo esempio: se ce l’ha fatta lui, ce la possiamo fare anche noi.
In lui non odio, non
rancore.
Come Primo Levi, suo
grande amico, con il quale iniziò a recarsi nelle scuole per parlare della
deportazione durante il nazismo di ebrei e di resistenti politici, trasmetteva
speranza.
Quella speranza che gli
permise di sopravvivere nel lager, “la
speranza di un mondo come il nostro, normale”
[2]nel
quale ogni uomo ha diritto alla propria dignità, disse guardando negli occhi i
nostri studenti.
Quella lezione di
storia nessuno dei presenti la dimenticherà mai: è stata un gioiello di
speranza, che è chiuso nei nostri cuori per sempre.
Così, quando venerdì
sono rientrata da scuola e ho appreso dal
quotidiano che Italo era morto, ho
sentito che tutti noi avevamo perso un Uomo a tutto tondo, un Maestro.
Ho subito avvisato gli
alunni con cui sono ancora in contatto.
Sabato mattina, in
macchina verso la Valchiusella, non ero da sola: due mie care alunne erano
accanto a me, con la cartina in mano per guidarmi nella valle nebbiosa e con
tutto il disagio che si prova davanti
alla morte, specialmente da giovani. Avevano imparato a stimare quell’uomo e
avevano sperato di poter condividere con lui una ricerca storica.
Con Italo avevamo
sognato di lavorare ancora insieme: aveva accettato la mia idea di scrivere la
sua storia, lui che aveva dedicato sessant’anni della sua vita a dare un nome a
tutti gli italiani non tornati da Mauthausen. Nessuno aveva scritto su di lui:
nella suo cuore vi era ancora tanto dolore per quei terribili mesi trascorsi da
adolescente nell’orrore, tanto da impedirgli di dimenticare, da impedirgli di
vivere senza guardare ogni giorno la sua divisa da internato, riposta nel suo
armadio. Non voleva dimenticare e non voleva che nessuno dimenticasse gli
uomini, le donne e i bambini morti a Mauthausen, mai più tornati.
Il suo impegno di
ricercatore infaticabile è stato quello di ricordarli ogni giorno, uno per uno.
Forse Italo non è mai uscito
dal campo di Mauthausen, ha portato con
sé, tutti coloro che sono rimasti per sempre nel campo, per gridare al mondo la
verità. Soffriva quando leggeva le ricostruzioni storiche dei negazionisti,
intensificava il suo impegno di testimone diretto.
Al dispiacere della sua
morte si unisce in me il rimpianto di non essere riuscita a raccogliere la sua
storia.
Addio testimone di un
mondo che speriamo non torni mai più, addio maestro di vita per tanti giovani a
cui hai dato fiducia e speranza.
Continueremo noi a
parlare ai giovani, non dimenticheremo, te lo promettiamo.
Grazie Italo.
Roberta
Isastia
[1] Presidente nazionale dell’Aned in occasione
del funerale di Tibaldi
[2] Italo
Tibaldi, citazione estrapolata dal suo intervento presso il ns. Istituto
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