È da quando sono in pensione, e quest’anno sono dieci anni,
che desidero visitare le città d’arte italiane o, meglio, quelle ancora a me
sconosciute.
In questo lasso di tempo i nostri viaggi sono stati
concentrati tra Zurigo, dove vivono mio figlio e i miei nipotini, e Roma, dove
vivono le mie sorelle e i miei nipoti.
Poi c’è Torino, che mi
attrae per le sue occasioni culturali e mi allontana per la sua aria.
Qualche gitarella sono riuscita ad organizzarla, ma molte
meno rispetto ai miei desideri. Se non ora che sono in pensione, quando?
Finalmente ero riuscita a organizzare una gita di un solo
giorno, in una città relativamente vicina a Torino, con cari amici che amano
l’arte come noi.
Pavia, l’antica capitale longobarda e capitale del Regno
italico e poi visconteo. Come molte città italiane contiene gioielli d’arte,
relative a quegli anni di potere dei loro signori, nella fattispecie prima i
Visconti e poi gli Sforza.
Pavia: la città di Adelchi, eroe della tragedia manzoniana
che lessi e studiai negli anni del Liceo. Con la morte di Adelchi e la vittoria
di Carlo Magno, a Pavia finì il Regno dei Longobardi e iniziò quello di Carlo
Magno (774 d.C.).
Il bello avviene quando arriviamo a Pavia. Due senegalesi ci additano
preoccupati la macchina con agitazione dicendo che c’è del fumo. Laura afferma
di aver visto il fumo prima dell’incontro con i senegalesi, poco prima. Sul
cruscotto si è accesa la spia del motore. Infine, a sinistra c’era odore di
ammoniaca. Sempre fuori dalla macchina. In breve, ho deciso che avrei dovuto
chiamare il carro attrezzi, non avendo un meccanico a disposizione, di
domenica.
Mentre aspettiamo il carro attrezzi iniziamo la visita della
città, come da iniziale programma: al mattino Pavia, al pomeriggio la Certosa.
Ovvio che la Certosa salta.
Pavia: è ancora estate, fa ancora caldo. Incontriamo due
pavesi che ci indicano una chiesa nascosta, la chiesa delle donne, san Giovanni
Domnarum. Sorge internamente ad un isolato, forse fu il Battistero delle donne.
Ci rechiamo lì e non si può visitare la cripta del 1000 dc a causa della Messa.
Continuiamo l’esplorazione: strade strette, non troppo come i carrugi, zona
pedonale, case basse, poca gente, poi una piazza con la statua del Reggisole.
Me lo ha detto Google Lens, perché non ci sono indicazioni, didascalie, le
chiese e le statue sono nel loro posto da sempre e la gente del posto le
conosce, ma i turisti no. Mi pare poco turistica, pur essendo una città
universitaria e quindi frequentata da giovani. Non trovo l’agenzia del turismo.
Arriviamo così, girando con il naso in su, alla Basilica di
San Michele Maggiore, che avevo segnato come una delle Chiese da visitare.
Sulla facciata ci sono notevoli bassorilievi di animali. All’interno un bel
crocefisso in lamina argentata. Particolare è la zona dove officiano i
sacerdoti, perché elevata rispetto alla chiesa dei fedeli. Sul pavimento resti
di un mosaico indicante i mesi dell’anno.
Le strade raccontano il passato longobardo: via Liutprando,
via Rotari, Largo Rondò dei Longobardi.
E arriviamo al ponte coperto. Bombardato durante la Seconda
guerra mondiale, lo ricostruirono. Il ponte collega la Strada Nova a Borgo
Ticino, un borgo di pescatori. D’effetto e fotogenico.
Torniamo verso il centro alla ricerca di un bar e incontriamo
il Broletto, l’antico palazzo comunale del XIII sec e restaurato nel 1928.
Siamo in Piazza della Vittoria, dove c’è un mercato coperto, che visiteremo
velocemente il giorno dopo.
Da lì, dopo la nostra piacentina, che poi è una focaccia, ci
sposteremo verso il Castello Sforzesco, sede della pinacoteca e della mostra
sulla battaglia di Pavia.
Pavia è dentro la Pianura Padana, come Torino. L’aria è ferma
ed è calda, un caldo umido. Sudiamo. I nostri amici sono visibilmente provati.
Ho imparato a riconoscere i loro segnali di disagio. Ho una certa abitudine,
contratta nella prima infanzia, a osservare i corpi e a regolarmi. Non tutto si
deve fare insieme. Dopo un buon gelato artigianale, decidiamo di dividerci, noi
entreremo a vedere la mostra degli arazzi che ritraggono la battaglia di Pavia
del 1525, custoditi di norma a Napoli, al Museo di Capodimonte e per i 500 anni
dall’evento, in mostra nella città della battaglia. Loro due decideranno cosa
fare, se riposarsi o entrare.
Il Castello sforzesco ci appare in tutta la sua magnificenza,
ben conservato e circondato da un bel parco.
Camminiamo tra le stanze della pinacoteca senza soffermarci,
mirando agli arazzi in mostra temporanea. Ignoravamo che anche nelle sale
antecedenti vi fossero oggetti legati alla mostra degli arazzi. Nessuna
spiegazione. Nessuna visita guidata. Nessun dépliant.
Ed ecco la sala degli arazzi: semplicemente magnifica. Ci
sono 7 arazzi, lunghi circa 9 metri ciascuno.
Gli arazzi realizzati in fili di lana, seta, argento e oro ritraggono
i momenti salienti della battaglia tra Francesco I e Carlo V, entrambi
interessati al ducato di Milano. Vincerà Carlo V. In Italia, dopo Pavia, ci
saranno altre battaglie tra Francia e Spagna, ma sarà la Spagna la nuova
potenza occupatrice, sancita successivamente dalla pace di Cateau-Cambresis del
1559.
Una marea di volti e corpi, di sangue dalle ferite, di
cavalli, di armi, di nazionalità, di stemmi, di luoghi.
Per chi volesse approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Arazzi_della_battaglia_di_Pavia
Gli arazzi furono realizzati su disegni di Bernard Van Orley,
di pregiata manifattura fiamminga, sono dei capolavori. I proprietari, la
famiglia napoletana d’Avalons, li donarono al Museo di Capodimonte. Sono stati restaurati recentemente, pare ad
opera della Signora Allegra Agnelli, ma non trovo traccia in rete di questa
affermazione di un addetto al Museo.
Ora ci incamminiamo verso la Basilica di Pietro in Ciel
d’Oro, che contiene i sepolcri del filosofo Boezio e di Sant’Agostino.
Tutte queste chiese sono esempio del romanico lombardo e
sulle quali non mi soffermo, in quanto si trovano molte descrizioni sul web.
Ritorniamo sui nostri passi, verso l’auto, aspettando
l’arrivo del carro attrezzi.
Salutiamo i nostri amici, dopo averli invitati a tornare a
Torino. E noi continuiamo ad aspettare:
leggiamo in auto e veniamo bombardati da zanzare. Nel mio zaino non c’è
l’autan, non era contemplato nella visita a Pavia. Invece scopro così questo
clima poco piacevole e cerco di difendermi come posso: prendo il disinfettante delle
mani e lo cospargo su tutte le parti scoperte, sperando che l’odore dell’alcool
allontani le zanzare.
Ugo Foscolo insegnò all’Università di Pavia e si lamentò del
clima. Capisco.
Il carro attrezzista si presenta alle ore 20. Ormai i treni
sono tutti partiti. Domani ci sarà lo sciopero generale per Gaza. Dobbiamo
restare a Pavia. Siamo due malati cronici, non abbiamo le nostre medicine,
neanche un cambio, nulla.
Troviamo un albergo, il cui prezzo mi spaventa, ma siamo
stanchi e abbiamo bisogno di riposare.
L’albergo mi stupisce e mi rallegra: forse ci voleva il
guasto della nostra auto per scoprire la città nascosta. La nostra suite si trova dentro Palazzo
Arnaboldi, costruito alla fine del 1800 per volere di Bernardo Arnaboldi
Gazzaniga, sindaco di Pavia, deputato liberale e poi senatore del Regno di Italia,
realizzò a Pavia una Galleria simile alla Galleria Vittorio Emanuele II di
Milano, che collega Piazza Duomo a Piazza della Scala. La Galleria Arnaboldi
collega via Nova con Piazza del Lino. Il Senatore, tra le tante azioni lodevoli,
comprò la casa di Alessandro Manzoni per renderla Museo.
Le stanze si affacciano sulla Galleria. La stanza più bella è
il salotto, la sala delle feste ma anche della colazione, con soffitto alto
otto metri, un pianoforte a coda e un’arpa, un lampadario originale e divani e mi
immagino ballare con un vestito lungo con coda al suono del valzer.
Solo in occasione di matrimoni sono stata in palazzi d’epoca
o per vedere delle mostre d’arte. Non ho mai soggiornato in un palazzo così
bello e questo forse è il primo regalo per i miei 70 anni. Non avrei mai
prenotato in un luogo così, non avrei mai volontariamente usato i soldi in un
modo venale, per il gusto di vivere nella ricchezza e nella bellezza qualche
ora della mia vita, nella quale non mi manca nulla, ma non sono abituata al
lusso.
Mi sono sentita una principessa e una bambina
contemporaneamente.
Il palazzo Arnaboldi è stato poi venduto e usato in mille
modi, anche come circolo del bridge fino all’acquisto da parte di Paolo Ceriani
e Antonella Zacchetti che hanno scritto un libro dedicato al palazzo e oggi gestiscono
l’albergo.
Dopo aver fatto colazione come una principessa, in attesa
della telefonata del meccanico, accogliendo l’invito dei proprietari di restare
ancora, vista la giornata piovosa, ho sfogliato e letto diversi libri d’arte.
Uno sul Patrimonio dell’Unesco, siti archeologici e centri urbani, che mi ha
stregato. E avrei potuto leggere per tutto il giorno, ma, essendo cessato di
piovere, siamo usciti.
Bene abbiamo fatto, perché siamo andati alla ricerca della
città universitaria e abbiamo scoperto le torri medioevali e i cortili e i
giardini incasellati tra le aule universitarie, vere oasi di pace.
Tra una telefonata e l’altra al meccanico, ci siamo
incamminati verso Borgo Ticino. Una bella passeggiata lungo il Ticino, tra
casette basse con giardino, a volte tre gradini per fermare l’acqua delle piene
a volte nulla, qualche indicazione del livello delle piene degli anni passati. E
davanti a noi Pavia, con le sue torri e le guglie delle chiese.
Della macchina nessuna notizia e mentre io cerco sempre di
vivere al meglio il mio tempo, avrei camminato ancora a lungo, fino ad un
boschetto che mi era stato segnalato, mio marito arretrava, sbuffava, guardava
l’orologio, affermava che era uguale al Lungo Po di qualche decennio fa, quando
forse lui era piccolo, forse lo ha visto in foto, non stento a crederci, ma ora
noi eravamo lì, lungo il Ticino, con barche ancorate diverse dalle solite
barche, con casette colorate, con una strada con acciottolato e guide per i
carri, insomma mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, ma niente,
Franco voleva scappare da lì, quasi ci fosse un fuoco a bruciarlo vivo.
I meccanici portano le macchine dove devono, specie se il
cliente paga, ma nulla, si doveva tornare nella piazza dove avvenne il fatto e
presto, anche se avremmo dovuto aspettare in piedi e senza fare nulla.
E così abbiamo fatto, siamo tornati indietro, e lui questa
volta era il primo, veloce e scattante. Camminando camminando siamo arrivati in
piazza della Minerva e lì ci siamo fermati in un bar.
Intanto devo rispondere a chi mi telefona per le varie
organizzazioni: il prossimo concerto di David, la sala concerti da prenotare, i
brani da suonare. E agli amici, che chiedono di noi. Fatico.
Leggo le notizie: in ottanta città italiane lunghi cortei
pacifici.
Dopo un’ora il meccanico ci ha raggiunti: non risultava alcun
guasto alla macchina, piuttosto erano da cambiare le ruote, che non tengono più
la strada.
La cifra pattuita al telefono è nel frattempo cambiata. Sono
così stanca. Appare evidente che si prendono gioco di noi, in quanto anziani. È
evidente anche a me, che sono una inguaribile ingenua. Mi rimane il dubbio di
cosa sia successo alla macchina. Si torna a casa.
Era destino che dovessimo fermarci a Pavia e scoprire altre
sue bellezze. Dovremo tornare per la Certosa.
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