martedì 28 marzo 2023

UN UOMO DI POCHE PAROLE

 






Cara lettrice, caro lettore oggi ti presento un saggio storico di grande interesse e che sta riscuotendo un gran successo: proprio in queste ore è nuovamente in ristampa, dopo solo tre settimane e mezzo, si intitola “Un uomo di poche parole” di Carlo Greppi.

Io l’ho letto appena uscito in libreria e capisco sinceramente il fatto che anche un saggio storico, normalmente per gli addetti ai lavori o per gli appassionati di Storia, possa essere letto da molte persone. Questo fatto ritengo sia un grande merito: avvicinare le persone alla Storia, presentarla in modo narrativo, pur procedendo con la scrupolosità dell’investigazione storica. A me questo libro ha permesso di conoscere colui che ha salvato  la vita di un uomo che ho stimato profondamente: quando morì lasciò in me un vuoto e un dolore, pur non avendo mai avuto l’onore di conoscerlo personalmente, sto scrivendo di Primo Levi.

Credo che proprio a Lorenzo debba di essere vivo oggi” (P. Levi)

Molti, sopravvissuti e tornati dai lager nazisti, scrissero, molti testimoniarono, di alcuni lessi e leggo le autobiografie, ma, Primo Levi ha avuto il grande merito di descrivere scientificamente ciò che accadeva in quell’inferno che fu Auschiwtz.

Lo storico Carlo Greppi in questo libro dà voce ad un uomo semplice, Lorenzo Perrone (o Perone in alcuni documenti) nato a Fossano in Piemonte nel 1904, “un uomo di poche parole”, collerico, amante del vino e delle risse, tanto che il suo soprannome era “il Tacca”.

La storia di Lorenzo si interseca con quella di Primo Levi nell’estate del 1944, nel campo di concentramento di Monowitz, uno dei campi di Auschwitz.

Il noto scrittore italiano fu deportato, in quanto ebreo, nel febbraio del 1944(l’inverno del 1943-44 fu il più freddo del secolo, con temperature a venti e trenta gradi sotto zero): del suo viaggio, della sua prigionia e delle condizioni di vita degli Hftlinge sappiamo molto grazie alla  lucida e pacata[1] testimonianza scritta nel suo capolavoro “Se questo è un uomo” e nei successivi libri “La tregua” e “Sommersi e salvati”.

Della vita di Lorenzo si sapeva poco prima del presente saggio, solo quello che Primo Levi scrisse di lui nei suoi libri, nella ricostruzione della biografa di Primo Levi, oltre ad una tesi di laurea inedita.

Lorenzo fu un lavoratore semianalfabeta, che camminò lungo i sentieri dei contrabbandieri per recarsi in Francia a lavorare. Nel 1940, dopo l’invasione della Francia da parte dell'esercito tedesco , venne fatto prigioniero e venne liberato solo al momento della resa dei francesi. Rientrato in Italia fu assunto come operaio dalla ditta Beotti che, come molte altre aziende italiane, stipulò contratti bilaterali con la Germania per impiegare nel Terzo Reich i propri lavoratori. La Beotti stipulò accordi con la Farben e Lorenzo venne mandato a lavorare ad Auschwitz nel 1942.[2] Dopo l’8 settembre del 1943 le condizioni di quei lavoratori italiani cambiarono, perché da lavoratori liberi divennero lavoratori coatti e di conseguenza peggiorò il loro trattamento ma questo non impedì a Lorenzo di conservare la sua umanità.

La storia di Primo e Lorenzo è una strana storia di amicizia: prima di tutto perché nasce nel luogo dove tutti erano nemici gli uni degli altri, nel luogo dove ognuno doveva cercare di sopravvivere alla fame, al freddo, alla fatica, alle punizioni, alle selezioni. Proprio in questo inferno Lorenzo, conosciuto Levi che era stato incaricato di aiutarlo, decise, a costo della sua stessa vita, di aiutarlo portandogli regolarmente la gavetta piena di zuppa.  Lorenzo ogni giorno rubò del cibo dalle cucine per darlo al giovane e denutrito chimico torinese, che a sua volta condivideva tutto con il suo inseparabile amico Alberto. Successivamente il muratore di Fossano decise di scrivere alla famiglia Levi, cosa altrettanto proibita ed infine gli diede la sua maglia rattoppata per aiutarlo a sopravvivere al freddissimo inverno polacco.

“Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo” (P. Levi)

L’ultima zuppa che consegnò era piena di terra: Lorenzo era caduto a terra a causa di una bomba che gli aveva perforato un timpano, ma, lo stesso aveva consegnato la zuppa a Levi e lo aveva salutato. I Russi erano vicini e Perrone si mise in cammino e camminò per 1412 km lungo la ferrovia, impiegando circa quattro mesi.

Primo Levi appena tornò a casa, dopo essersi ripreso, cercò il “meraviglioso” Lorenzo. Da quel momento i ruoli si invertirono. Il muratore fossanese non riprese a lavorare come muratore, insofferente agli ordini iniziò una vita di sregolatezza. Al contrario l’intellettuale torinese riprese a vivere: trovò un lavoro, si sposò ed ebbe due figli che chiamò non a caso, Lisa Lorenza e Renzo Levi.

Il chimico torinese cercò di aiutare Lorenzo in ogni modo, cercandogli lavoro, pregandolo di curarsi, ma probabilmente Lorenzo non resse ai ricordi di quegli anni orribili e morì nel 1952 tisico e alcolizzato.

Due uomini molto diversi, tanto taciturno uno quanto loquace l’altro, tanto ebbro il fossanese quanto lucido il torinese, tanto impegnato a testimoniare l’orrore per non dimenticare Levi, quanto impegnato a dimenticare nell’alcool Perrone. Lorenzo morì troppo presto come molti sopravvissuti ai Lager, come se anche lui fosse stato deportato e condannato all’annientamento.

Nel 1998 Perrone è stato inserito tra i Giusti delle Nazioni, perché “chi salva una vita salva il mondo”. Un uomo buono, un uomo che ha saputo scegliere, non riconosciuto dai suoi concittadini che di lui vedevano solo l’aspetto trasandato.

 Il giovane storico mi interroga sul tema della scelta, già presente in altri suoi saggi, come ad esempio nel libro “Uomini in grigio”. Il saggio è anche un viaggio tra i giusti, concetto che dal 2017 comprende tutti coloro che combattono contro i totalitarismi, contro i crimini contro l’umanità.

Ti consiglio vivamente di leggere questo saggio.

 



[1] …questo mio libro…..potrà fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. P. Levi, Se questo è un uomo,  Einaudi, Torino,1991, pag.9

[2] Lorenzo lavorò alla Buna, la fabbrica di gomma sintetica, dove fu mandato a faticare anche P. Levi, che scrive: “La Buna è grande come una città; vi lavorano, oltre ai dirigenti e ai tecnici tedeschi, quarantamila stranieri e vi si parlano quindici o venti linguaggi.  Tutti gli stranieri abitano in vari Lager, che alla Buna fanno corona: il Lager dei prigionieri di guerra inglese, il lager delle donne ucraine, il Lager dei francesi volontari…noi siamo gli schivi degli schiavi, a cui tutto possono comandare… Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, pag. 65

1 commento:

  1. Sentito martedì scorso Carlo Greppi alla presentazione del suo libro a Il ponte sulla Dora. Sono rimasto colpito dalla sua grande umanità nel raccontare di Lorenzo e altri, oltre che dalla sua grande competenza.

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