L’ultimo sole estivo
L’ultimo sole, come tutto ciò
che sta per finire, si apprezza di più, si gusta, si assapora, si vorrebbe
trattenere ancora e ancora. Ne sento già la nostalgia.
Percepisco la carezza del sole
settembrino sulla pelle delle braccia e del viso e non vorrei fare niente altro
che questo. Percepire il calore del sole. Come se fossi un gatto.
Sta per arrivare una
perturbazione, pioggia abbondante, che, a differenza di quelle di giugno, di luglio
e di agosto, che hanno segnato delle brevi interruzioni dell’estate, ora indica
la fine dell’estate.
Sinceramente, pur amando i
colori autunnali, io vorrei che l’estate
non finisse mai.
La pioggia è stata preceduta
da segnali inequivocabili: le rondini, che fino ad una settimana fa
scorrazzavano per il borgo, rallegrandoci con i loro cicalecci, i loro voli
acrobatici, ora sono scomparse dall’orizzonte.
I nidi sono vuoti. Quelli che
resisteranno al vento e alle intemperie, torneranno a riempirsi la prossima
estate.
Anche gli insetti sono
diminuiti: le mosche, così fastidiose d’estate, non si fanno vedere e le api,
che si appoggiavano ai fiori di lavanda che sono qui accanto a me, sono
scomparse ed io posso raccogliere questi profumatissimi fiori, prima che
marciscano.
La terra ha smesso di donare i
suoi frutti, vedo gli ortolani tornare dal proprio orto con cestini sempre più
vuoti: un mazzo di carote e le patate. Quelle sono tante e buone.
Le marmotte continuano a
fischiare, piccole vedette sulle rocce appuntite.
In lontananza mi pare di
sentire un bramito di cervo, ma forse è la mia fantasia, il mio desiderio di
ascoltare gli animali selvaggi e liberi.
Gli ultimi lavori prima del
freddo: una pialla svernicia una porta, una sega taglia della legna.
Uomini, animali si stanno
preparando al freddo.
Mi chiedo perché anche noi non
potremmo emigrare come le rondini, cosa ci rende così legati ai luoghi e alle
case.
Il luogo, dove amo sedermi a
leggere, nel primo pomeriggio resta in ombra, segnando la discesa del sole che
si fa dolce e lontano.
Restano i suoni a me cari: lo scampanellio
delle mucche al pascolo, i belati delle pecore, i richiami delle galline
felici, il rintocco della campana della chiesa, la voce di qualche turista che
si ferma a fotografare la meridiana vicino a me e mi guarda, quasi stupito di
vedere essere umano in questo regno della natura, in cui, come un cammeo si
collocano le case ravvicinate di Balboutet.
Qui l’uomo è in armonia con la
natura: ne occupa la parte necessaria per vivere, ma non di più. Non si diverte
con seggiovie, funivie, skilift, che modificano un territorio. Non ci sono
parchi giochi per i cittadini che non rinunciano a nulla e in montagna vogliono
divertirsi come in città.
Non ci sono neanche negozi:
qui si può preparare e cuocere il pane, scambiarsi insalata e uova.
Qui l’uomo lavora. Lavora la
terra, accudisce agli animali, come è sempre stato. Aggiusta la propria casa,
taglia la legna.
Pare che il tempo si sia
fermato, che quella smania di fare, che invade ogni essere umano urbanizzato,
che pur stanco del lavoro deve categoricamente aggiungere sport, divertimenti,
viaggi, incontri alla sua vita caotica e difficile, fatta di file, parcheggi impossibili, aria mefitica,
problemi burocratici, vicini arrabbiati, rumori continui e fastidiosi, qui non
sia mai giunta.
Qui l’uomo fa molto cose, è
capace di fare molte cose, ma con calma, la calma necessaria per fare e bene.
E ha il tempo di fermarsi a
parlare con me ed io di ascoltare.
Resta il rumore del vento.
Restano i ciclisti, sempre
meno, che raggiungono pian dell’Alpe e il colle delle Finestre.
Restano gli odori: la notte,
prima di addormentarmi, respiro profondamente l’odore della terra e osservo il
cielo e le stelle, che con la loro luce e la loro presenza, pare vogliano
accompagnare il sonno, nella certezza della realtà. Eppure la stella più vicina
che osservo è lontana almeno quattro anni luce da me, altre sono lontane
miliardi di anni luce, cioè io le osservo come erano e non come sono. Di quale
realtà quindi io sono certa? Del passato. E del presente, che mi permette,
senza nubi, di assistere al passato.
Per tutti questi motivi e per altri ancora, credo che vivere in un borgo come Balboutet sia preferibile a vivere in una città, io, che sono nata in città e lì ho sempre vissuto.
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