IL MONDO IN UNA STANZA
Premessa
Ho scritto questo articolo
dodici giorni fa, qualche decreto del Presidente del Consiglio fa, molto dolore
in meno nei cuori, molti morti in meno.
Sono arida in questi giorni,
le parole non sono adatte alla situazione, bisogna inventarne di nuove per
rendere la tragedia che viviamo, però ho scritto tante volte che ognuno deve
dare il proprio contributo, portare il proprio secchio d’acqua ed io so fare
questo, scrivere e penso che così posso, forse, dare un piccolissimo contributo
a te che stai a casa in isolamento. Forse.
È relativamente semplice
scrivere intorno a storie individuali, è difficilissimo scrivere intorno ad una
storia che riguarda tutti noi, che ci interroga prepotentemente su temi dai
quali tutti noi, ad esclusione dei meditanti, rifuggiamo: il senso della vita,
il senso della sofferenza, della solitudine, della malattia e della morte.
La paura.
Niente e nessuno sarà più come
prima della comparsa, nella vita di sette miliardi e mezzo di esseri umani, di
questo microscopico essere che sta provocando danni, dolore e morte. Forse
esisteva anche prima di occupare impropriamente il primo corpo umano, a me non
interessa, perché prima di allora, prima di quel maledetto giorno di cui non
sapremo mai nulla, prima il mondo girava diversamente.
Non posso dire che girasse
bene, no, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, alle sofferenze dovute alla
nostra condizione naturale di esseri mortali, si aggiungevano malefatte umane,
in un crescendo tale che chiunque fatica a ricordarle tutte. Alcuni hanno cercato
di ripulire la proprio mente dalle
falsità, dalle manipolazioni per focalizzarsi su ciò che era terribilmente
vero: la madre Terra, la nostra unica casa, che ci alimenta e si sostiene,
stava soffrendo e ce lo comunicava tutti i giorni, in un bollettino
inquietante.
Incendi di migliaia di km
quadrati, scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, allagamenti, tifoni,
terremoti, eruzioni vulcaniche, invasione di insetti, siccità, e carestie,
terre inquinate, polmoni verdi disboscati.
E infine guerre, le maledette
guerre, che di naturale non hanno nulla.
Non posso scrivere che l’Umanità girasse bene, no: milioni di esseri
umani si spostavano freneticamente da un luogo all’ altro, per lavoro, per
divertimento, per amore, per studio. Le merci si spostavano da un luogo
all’ altro, percorrendo migliaia di km per soddisfare le persone che volevano
risparmiare pochi soldi, per arricchire industriali alla ricerca di minor costi
del lavoro, impoverendo città, riempiendo il mondo di gas di scarico, che
ricadevano nei luoghi dove milioni di uomini vivevano intossicati.
Le malattie aumentavano,
l’infelicità aumentava, la solitudine aumentava.
Molti altri erano i problemi
di cui occuparsi nei giorni precedenti al suo manifestarsi: i diritti umani
calpestati nel mondo, la triste vita dei profughi, la democrazia in crisi.
Sinceramente c’era solo l’imbarazzo della scelta, ma, ci si riuniva, e non si
decideva mai di modificare lo stile di vita.
Negli ultimi mesi due
movimenti di giovani mi hanno rallegrato: i giovani di Greta e le sardine.
E poi è arrivato lui.
E dapprima sono stati
eliminati i voli dall’Italia verso la Cina e viceversa e siamo andati a
prendere gli italiani rimasti a Wuhan, poi gli aeroporti sono stati chiusi, gli
aerei sono rimasti a terra e con loro tutti coloro che avevano programmato i
viaggi nel mondo.
Poi i confini tra Stati sono
stati chiusi, cosa che non accadeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Poi i confini tra Regioni, tra
città, tra paesi di mare e città, tra paesi di montagna e città. Ognuno a casa
sua, ognuno nel proprio comune di residenza, ognuno nella propria casa, anche
se solo, anche se malato.
Non arrivano le bombe dal
cielo, non sparano i cecchini dalle case: il nemico è invisibile e si può
nascondere in chiunque ci avvicini.
Prima conseguenza: diffidiamo
dell’altro. E l’altro da noi, che siamo l’altro da sé.
Non posso non pensare a mia
madre, nata nel 1912, che ha contratto malattie gravissime, per le quali si
moriva: la spagnola del 1919/20 per esempio.
Mia madre è cresciuta in tempi
in cui molte medicine e vaccini non esistevano. Mamma si lavava continuamente
le mani e mi ha insegnato abitudini che ho conservato e che sono utilissime: “cambiati abiti e scarpe quando torni a
casa, lavati subito le mani, non appoggiare su letti o tovaglie oggetti che
sono stati all’esterno”.
Fuori e dentro. Era molto
chiaro che ciò che proveniva da fuori era per lei potenzialmente pericoloso.
Sono cresciuta così. Per mia madre fu una necessità, per me, nata ai tempi
degli antibiotici e dei disinfettanti, un obbligo che rischiava di
nevrotizzarmi. Pian piano sono guarita e ho allentato questo controllo ed oggi
però non fatico ad adeguarmi ai consigli dei medici. Capisco. Siamo difronte ad
un virus sconosciuto, nei confronti del quale l’unica difesa è tenerlo lontano
da noi.
Lui e gli altri.
Tutti.
Non dobbiamo muoverci. Gli
ospedali sono al completo. Non dobbiamo ammalarci. Prima di tutto perché è
bello stare bene e poi perché non c’è posto per altri malati e anche questo mi
pare un buonissimo motivo.
Le aziende hanno scoperto che
la tecnologia può essere usata per lavorare da casa: sì, lo si è sempre detto,
ma mai fatto su larga scala.
Ora la maggior parte delle
persone che conosco e che lavorano nei servizi, nel famoso terzo settore,
insegnanti, informatici, consulenti tutti lavorano da casa.
E così, con la gente ferma a
casa, lo smog è diminuito, prima nella regione di Wuhan e poi sulla Pianura
Padana.
I cinema, i teatri, i musei,
le biblioteche, gli stadi, le palestre, i negozi, le associazioni sono stati
chiusi: in altre parole il mondo si è fermato.
No, non è vero: gli
agricoltori seminano e raccolgono, per fortuna, alcuni operai lavorano, i
medici e gli infermieri lavorano tantissimo. E i commessi dei supermercati e i
proprietari del negozio sotto casa, che ora diventa prezioso. Ricordiamocelo quando
tutto sarà finito.
Il virus viaggia e se noi
siamo i più colpiti nel mondo, nel mondo capite, il virus ha bloccato a casa miliardi
di persone.
Piano piano i governi delle
altre nazioni sembrano capire che il virus non conosce confini, colore della
pelle, stato civile, età: iniziano a prendere analoghe misure e così ci
sentiamo sempre più isolati nelle nostre stanze.
Tutto fermo. Stiamo tutti
aspettando che lui si stanchi e arretri.
L’attesa. Una
dimensione quasi sconosciuta dai giovani di oggi. Se vuoi telefonare a
qualcuno, lo fai subito, non aspetti. Se vuoi avvisare, disdire, prenotare,
comprare, visitare il tuo conto corrente, lo fai subito, con un app, un click,
una password. Tutto e subito.
Ora no. Ora dobbiamo
esercitare la pazienza. Scoprire la
dimensione dell’attesa.
E la dimensione della distanza fisica, dell’annullamento di
gesti consueti, di gesti naturali, animaleschi, toccarsi, accarezzarsi,
baciarsi, giocare.
Non ci baciamo, non ci abbracciamo, non ci
incontriamo.
I figli sono lontani dai
genitori e i genitori dai figli.
I nipoti dai nonni e i nonni
dai nipoti.
L’amico dall’amica.
Chi fino ad oggi ha scelto di
essere single, oggi si interroga su questa scelta.
Le coppie che faticavano a
convivere, oggi sono costrette alla convivenza forzata.
I figli abituati a non parlare
con i genitori, sono costretti in casa.
In questa emergenza anche i
ruoli cambiano. Chi ha visto lentamente avverarsi la parità nei lavori di casa,
sta scoprendo che nell’emergenza ognuno riprende il ruolo atavico, c’è chi
cucina e chi aggiusta cose, c’è chi pulisce e chi sta in divano.
La tecnologia sta sostituendo
gli incontri: video telefonate, videoconferenze, video passeggiate per musei,
per teatri, video lezioni , di yoga, meditazione, video concerti, lezioni
scolastiche in tutta Italia e ora anche nel mondo, a distanza.
Tutto video, grazie al pc, a
quella rete di cui vi avrei voluto raccontare, avendo raccolto molti documenti
sul tema della continua violazione della privacy, ma oggi, rinuncio alle mie
riflessioni, benedico questo mezzo che ci fa sentire tutti vicini, tutti
insieme, che ci permette di vedere crescere i nipoti, di parlargli.
Non so te, lettore, ma io ho
una giornata attivissima, piena di impegni video e non riesco a fare tutto,
anzi temo che questa overdose di stimoli mi privi di questo prezioso momento di
riflessione. Attiva e disordinata. Attiva e caotica, come i pensieri e i
sentimenti che si susseguono e si scontrano.
Mentre scrivo, mentre penso,
continuano a intrecciarsi nei miei pensieri la situazione odierna,
oggettivamente grave per la salute di tutti e per le conseguenze economiche che
porterà con sé, e i valori che l’uomo potrebbe, se volesse, riscoprire in
queste lunghe giornate, la pazienza, l’attesa, la fisicità, il bisogno dell’altro,
la preziosità della natura, l’importanza della cultura, la generosità.
I pensieri si intrecciano e so
che altri, meglio di me, stanno provando a raccontare questo dramma collettivo.
Sono molte le riflessioni che vorrei condividere con te.
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