Devo averlo
già scritto da qualche parte che per me è una gioia rivedere i miei allievi,
parlare con loro, ricevere le loro visite o i loro messaggi.
Sarò una
persona romantica, ma vederli crescere mi piace moltissimo.
Giorni fa ho
incontrato due uomini, sì certo ragazzi anagraficamente, alle prese con il
primo lavoro, il primo impegno di volontariato, con i primi amori, ma
fisicamente due uomini, giovani e forti, solidi nei principi così come lo erano
da giovanissimi, quando sedevano nei banchi della scuola media.
Invece ieri
ho incontrato una donna molto diversa dalla bambina che avevo conosciuto.
Sicura, coraggiosa, mi ha raccontato i suoi progetti di vita e emanava intorno
a sé benessere, il benessere che nasce dal piacersi, dall’aver trovato la
strada.
Io ho gioito
per lei, certamente e per me, anzi per tutta la scuola italiana.
Ho gioito
perché lei è portatrice di protesi acustiche, insomma è audiolesa e a 12 anni
seguire le lezioni, scrivere un testo, esprimersi, raccontare erano imprese
ardue. Ho negli occhi i suoi occhi attenti, che volevano afferrare le parole
che uscivano dalle mie labbra e che spesso non arrivavano alle sue orecchie,
intercettate dal rumore di una classe numerosa e vivace: penne che cadono a
terra, porte che si aprono, circolari che si dettano, starnuti, colpi di tosse,
fogli strappati, commenti sarcastici, passi dondolanti verso il bagno, anelli
di quaderni che si aprono e si chiudono alternativamente, insomma tutto quello
che è la vita animata di un gruppo vivo, ma che per lei era solo rumore
fastidioso.
Ha sempre
eseguito tutto ciò che le veniva chiesto dal corpo insegnante, si è affidata a
noi.
Non riusciva
a socializzare e spesso i suoi occhi erano velati dalla tristezza.
Spesso
soffriva di mal di testa per la tensione di sostenere tutta la situazione.
Quante volte
mi sono chiesta come aiutarla di più, cosa fosse meglio per lei: l’alternativa
era solo l’isolamento in una classe con la sua insegnante di sostegno. Invece
il consiglio di classe scelse diversamente, giustamente, scelse su consiglio
delle sue insegnanti di sostegno, il tentativo di un pieno inserimento in
classe.
Lei oggi è
il frutto di quel progetto, di quel lavoro di equipe, lei oggi è una donna
sicura, che affronta ogni giorno le difficoltà della sua situazione, con coraggio e spirito di iniziativa: sta studiando il linguaggio dei segni per poter essere
utile ad altri come lei.
Sta
terminando il corso di studi superiori senza particolari difficoltà, segno che
i colleghi del nuovo corso hanno
continuato sulla linea dell’integrazione, quello che tutta la scuola italiana
da molti anni persegue con fatica, con tenacia. A volte i risultati non si
vedono, sembra così, perché nei giovani è il tempo la misura della validità di
un progetto.
Lo ripeterò
fino alla nausea: non si possono misurare i progetti educativi come i progetti
materiali. Una cosa è assemblare pezzi per costruire una macchina, altra cosa è
sognare per un essere umano una vita, quella più adatta a lui/lei e provare ad
indicare delle strade da percorre, in parte insieme e in parte da soli. Nessuno
può sapere cosa succederà e quando.
E’ stata
proprio lei ieri che mi ha detto che non sarebbe la donna che oggi è, perché è
donna, questa estate lavorerà, ha conseguito la patente, progetta, ama, se
fosse stata accompagnata da altre persone problematiche, se non avesse avuto la
possibilità di confrontarsi quotidianamente con altri, di provare, cadere e
riprovare.
Ieri non
smetteva più di raccontare di sé e tutte le sue frasi erano chiare e efficaci.
Credetemi, sono
veramente felice.
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