Bello, non posso mancare assolutamente
a questo appuntamento.
Caro lettore, non posso proprio, perché
io credo che ogni lavoro sia interessante se piace, ma a me è
piaciuto molto e piace ancora “insegnare” e quindi non posso non
raccontare, qui, nel mio blog, una breve storia che riguarda una mia
cara insegnante del liceo.
Prima due parole sull'insegnare e
insegnante.
Intorno all'insegnante ci sono mille
storie da raccontare, mille giudizi, mille delusioni, mille speranze,
come sempre, quando si ha a che vedere con le persone.
Certo, perché il nostro lavoro,
insomma il lavoro degli insegnanti è fondamentalmente riassumibile
in: ho voglia di raccontarti quanto sia affascinante, straniante,
avvolgente, coinvolgente imparare! Non posso proprio non comunicartelo, proprio a te, mi sembra di morire se non te lo racconto.
Ragazzo, adulto, non importa, fammi
domande e insieme andremo a cercare delle risposte, ma non
accontentiamoci mai delle risposte troppo facili e rassicuranti,
piuttosto poniamo altre domande, dubbi, critiche, creiamo insieme
altro e altro ancora, in un crescendo che permetta all'uomo di essere
sempre migliore, di stare sempre meglio, di vivere sempre meglio, di
essere umano.
Insegnare quindi vuol dire continuare a
studiare e chi ama studiare non può che goderne profondamente.
Insegnare quindi vuol dire continuare a
crescere e non da soli, ma insieme a chi si incontra, per caso, in
un'aula e al quale ci si affeziona terribilmente.
Ecco, ora il ritratto della mia
Professoressa di italiano, alla quale devo molto e devono qualcosa
anche i miei alunni, perché la nostra vita è una catena di
relazioni, che alimentano o che uccidono ciò che noi portiamo
dentro.
Una
mattina entrò in classe, come sempre, ma diversamente da sempre si
rivolse a me, proprio a me.
Era piccola di statura e magra. Capelli biondo scuro, molto frizzante, allegra direi, acuta.
In
classe eravamo 25, disposte a ferro di cavallo, erano anni ruggenti,
di contestazione su tutto e su tutti, anche sulla disposizione dei
banchi. Nella mia scuola, una severissima scuola di Suore Orsoline,
sita a Roma, in realtà l'unica conquista che avevamo ottenuto era
stata la disposizione dei banchi.
Ecco,
entrò e si rivolse a me, chiedendomi scusa per non aver ancora
spiegato Mazzini, mi aveva sognato la notte e io nel sogno le
ricordavo di spiegarcelo.
La
mia professoressa di italiano del liceo classico mi rapì con le sue
spiegazioni, con il consigliarmi alcuni libri da leggere, con i
complimenti quando mi consegnava il tema in classe, con la sua
autentica passione per noi, per me.
Mentre
scrivo mi chiedo, per la prima volta in vita mia, perché si sia a
volte scusata con me.
Anche
il giorno in cui affrontai la tanto temuta prova orale della
maturità, durante la quale fui brillante, lei mi telefonò a casa e
mi disse di non soffrire se il voto non sarebbe stato quello che
meritavo e che mi aspettavo, che lei, membro interno, aveva provato
senza riuscire a convincere la commissione sulle mie capacità.
Mi stupiva sempre questa sua attenzione per un'alunna, cosa rara nei docenti, allora.
Il
voto fu piuttosto basso in effetti, rispetto alle mie aspettative e preparazione: l'esame di maturità
divenne un sogno ricorrente fino al riscatto che avvenne con la laurea.
Lei
ha sempre creduto in me, ha saputo intuire ciò che con gli anni
avrei capito, ovvero la passione per la lettura, per la scrittura,
per i racconti orali, scritti, visivi, musicali non importa tanto il
mezzo, quanto il raccontare e il raccontarsi.
Lei
lo aveva capito prima di me e questo ha fatto di lei un'ottima
insegnante.
L'anno
della mia maturità Adele, così si chiamava, aveva scoperto di avere
un cancro, ma nonostante questo ci accompagnò al nostro esame. Mi
raccontava che avrebbe dovuto camminare tanto, così i medici Le
avevano consigliato, ma non aveva tempo, doveva lavorare.
Morì
qualche anno dopo, io vivevo in un'altra città e lo seppi quando il
funerale era già stato celebrato, ma ogni volta che tocco alcuni
libri, quelli che Adele mi aveva suggerito di leggere, il mio
pensiero corre a lei e la ringrazio.
Da
lei, ora capisco, ho imparato come insegnare.
Si
chiamava Prof.ssa Adele Carosi.
Bellissimo. Ho avuto prova che il tuo pensiero che ripeto di seguito non è solo una posizione estetica ma il tuo reale modo di essere: " Ragazzo, adulto, non importa, fammi domande e insieme andremo a cercare delle risposte, ma non accontentiamoci mai delle risposte troppo facili e rassicuranti, piuttosto poniamo altre domande, dubbi, critiche, creiamo insieme altro e altro ancora, in un crescendo che permetta all'uomo di essere sempre migliore, di stare sempre meglio, di vivere sempre meglio, di essere umano." Brava, concordo!
RispondiEliminaGrazie! Meno male che tu hai commentato. Mi fa piacere.
Eliminaciao.
Bellissimo! Sì hai avuto la grazia di diventare una vera insegnante. C'è ne fossero come te!
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